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mercoledì 15 febbraio 2012

La degenza in ospedale e il puerperio: che periodo di m...

Credo che il post di ieri in cui vi raccontavo il mio parto abbia contribuito ad abbassare notevolmente il tasso di natalità italiano. Meglio: non avrò difficoltà a trovare posto all'asilo per la Gnoma. E dire che il parto che vi ho descritto è stato assolutamente naturale, sano, veloce e senza complicazioni mediche! Pensate se vi avessi parlato di uno di quei parti con 30 ore di travaglio, utilizzo della ventosa, ostetriche che ti saltano sulla pancia, lacerazioni da 58 punti di sutura... Uff come siete impressionabili! Volete sapere qual è la parte più difficile di tutta la faccenda? Quello che viene dopo: il cosiddetto puerperio.

Già. Il dopo. Nel mio racconto di ieri vi avevo descritto travaglio e parto ed ero arrivata al momento in cui, per la prima volta, mi è stata messa tra le braccia la mia creaturina dagli occhioni spalancati e dalle manine smaniose di conoscere il mondo. Un momento che anche io, Simona Redana, la donna più fredda della Milano Est, descriverei come magico, indimenticabile, unico (bleah, quante smancerie). Peccato che poco dopo, quando la Gnoma mi è stata strappata dalle braccia per andare a farsi fare il suo primo prelievo  (poraccia, già si comincia...) io sia ripiombata nell'orrore

Mi avevano parlato del puerperio, ma sempre citandolo velocemente come "quel periodo di circa 40 giorni successivo al parto in cui l'utero torna alle sue dimensioni normali aiutato da piccole contrazioni, comincia l'allattamento e la puerpera ha un'emorragia che dura circa un mese". Ecco in effetti è così ma... ok andiamo con calma.

Dopo la nascita della Gnoma e le due ore in osservazione, sono finalmente stata riportata in camera. Che, come vi dicevo, non era proprio una camera ma... la sala travaglio. La luna del 7 febbraio aveva provocato un boom di nascite e il reparto maternità era al completo. Così mi sono ritrovata a passare la mia prima notte da mamma senza la mia piccola, che mi è stata subito strappata dalle braccia per essere portata al nido perché l'ambiente non era abbastanza sterile e tranquillo per lei. Poco dopo è andato a casa anche Marito e io mi sono ritrovata sola, al buio, in una stanza in cui entravano e uscivano medici ogni tre minuti con una donna, al mio fianco (ma proprio nel letto di fianco) che avrebbe poi partorito alle 7 del mattino e che ha travagliato tutta la notte.

Ovviamente non ho dormito nemmeno un minuto. La flebo di ossitocina che mi avevano infilato nel braccio mi provocava contrazioni ancor più dolorose di quelle del travaglio: se avessi provato una cosa del genere, il pomeriggio precedente, non avrei certo pensato a un semplice maldipancia. In più tremavo, sbarbellavo come una pazza, non riuscivo a fermarmi. L'aria era secchissima e i condizionatori erano al massimo: se non ti tiravi le coperte fino al collo rischiavi di rimanere incriccata a vita. In più... beh... inutile dire che ero appena stata squarciata e ricucita e che non ero supportata da nessun tipo di anestetico quindi... il dolore "in loco" mi faceva vedere le stelle. La gnoma già mi mancava in modo indescrivibile. Continuavo a riguardarmi le foto e il video fatti da Marito per rendermi conto che gli eventi che ricordavo in modo confuso e sfumato erano accaduti davvero: ero madre.

Ogni tanto passava un'ostetrica giusto per vedere se fossi viva e per chiedermi se avessi fatto pipì. "Ma che cazzo gliene frega?" pensavo io, rispondendo che no, non l'avevo fatta e che se fosse successo l'avrei sicuramente avvisata e avrei anche mandato un comunicato stampa all'Ansa. Poi mi sono ricordata che al corso pre-parto ci avevano avvertito che se la puerpera non riesce a far pipì dopo il parto le viene inserito subito un catetere. O cazzo. Il catetere no, sarebbe troppo. Così ho deciso di bere tutta la bottiglietta d'acqua che mi aveva lasciato Marito prima di andar via. Per fortuna la tecnica ha funzionato e, chiamata l'ostetrica, le ho dimostrato di essere in grado di urinare (tra l'altro si è trattato di una dimostrazione vera e propria, nel senso che la tizia mi ha dovuto accompagnare in bagno e, nonostante le mie rimostranze, mi ha costretto a lasciare che stesse lì a fissarmi per tutto il tempo... che umiliazione).

Insomma, una nottataccia. Avevo una fame e una sete incredibili. Marito non mi aveva lasciato niente, e anche se fosse, non sarei mai arrivata al comodino da sola. Dopo qualche ora ho chiesto a un'ostetrica un bicchiere d'acqua. "Non ne abbiamo. Bevi dal rubinetto del bagno" mi ha risposto secca. Fantastico. In tutto l'ospedale non avevano un cazzo di bicchiere d'acqua? O qualcosa da mangiare? E come si alimentano le ostetriche durante i turni al San Raffaele: girando per i corridoio con attaccata una flebo?!

Verso le 4.30 la poveretta accanto a me è andata in sala parto e da quel momento fino alle 7.00 ha urlato come una dannata. Ho scoperto, poi, che ha partorito un figlio di 4,3 kg. L'ultimo giorno di degenza in ospedale ho anche incontrato una povera crista che ne ha sfornato uno di ben 5kg! Quanto mi sento fortunata a volte...

A metà del giorno seguente, finalmente, sono stata trasferita in reparto. Da quel momento in poi ho avuto la gnoma con me quasi 24 ore su 24, a parte quando la piccola veniva portata al nido per le visite e il bagnetto. Che dire. Meno male che avevo lei accanto perché tra contrazioni, punti, sfinimento e balle varie stavo per cadere in depressione. Da brava donna milanese sempre iperattiva, operativa, efficiente, pronta a tutto, sportiva (beh, se andare in palestra può considerarsi un sport) e viaggiatrice intercontinentale, ritrovarmi bloccata a letto tra dolori lancinanti, impossibilitata a fare qualsiasi movimento senza farmi sfuggire un gemito, completamente dipendente da Marito (che dovevo aspettare  per poter anche solo prendere una cosa dalla valigia) è stato devastante. In più, come se non bastasse, la gnometta dipendeva completamente da me e anche solo prenderla in braccio a volte sembrava un'impresa impossibile.

Quando poi ho cominciato l'allattamento, mi sono ritrovata completamente legata a lei. Emma dipendeva in tutto e per tutto da me, mentre io dipendevo in tutto e per tutto da Marito (inutile dire che il personale del reparto non si sognava nemmeno di darti una mano ad alzarti e si prendeva cura solo delle donne che avevano fatto un cesareo - che, lasciatemelo dire, invidiavo profondamente perché i loro punti erano in una zona del corpo ben più gestibile e meno fastidiosa, e in più erano fatte perse di anestetici, cosa che io mi potevo anche sognare). Quando la gnoma piangeva di notte, e non c'era Marito a darmi una mano, la frustrazione era alle stelle. Ci mettevo dieci minuti buoni solo a mettermi più o meno seduta e, con la testa che girava e i denti digrignati, dovevo tirarla fuori dalla culla con una mano sola (perché l'altra dovevo avvinghiarla a qualcosa per rimanere stabile) e portarmela a letto. Poi però... eccoci, io e lei, sole, nel silenzio della notte sotto alle coperte. Lei mi fissava con i suoi occhietti profondi e indagatori, mi cercava con le manine. Io la abbracciavo, la stringevo a me, la aiutavo ad arrivare alla meta. E finalmente lei si calmava, mi guardava grata e riappacificata col mondo e mi teneva un dito con la manina quasi a dire "Non te ne andrai mica, vero?". In quei momenti capivo perché le donne fanno figli.

Ho partorito giovedì sera e domenica mattina ne avevo abbastanza di quel posto. Volevo andare a casa mia. Con orrore ho scoperto che, per farlo, avrei dovuto superare un'ultima, terribile prova: la visita ginecologica post parto. L'idea che, di nuovo, qualcuno mi "violasse" come il giorno del parto (ricordate? l'ostetrica, le mani insanguinate, la voglia di farlo da sola...) mi terrorizzava. Come immaginavo è stato ovviamente un supplizio. Però non ho detto "bah". Avevo uno scopo: dimostrare che stavo benissimo per poter uscire da lì. Anche quando mi hanno chiamato e io sono entrata nella stanza, ho tentato di camminare eretta e altera, da vera signora, mentre nella mia mente tiravo giù santi e madonne dal Paradiso. Per un attimo tra i due medici che mi visitavano c'è stata una diatriba: uno voleva dimettermi, l'altro lo trovava inappropriato per cause mediche a me sconosciute. Io ho tifato mentalmente per il primo che, alla fine, ha avuto la meglio.

E così domenica, dopo l'ultimo pranzo a base di pastina e pollo lesso (che, datemi della pazza, io mangerei tutti i giorni anche a casa) ho preso gnoma e bagagli e, con Marito, mi sono fiondata in auto. Oddio, "fiondata" forse non è il termine giusto dato che camminavo (e cammino tuttora) con la lentezza di un bradipo e la grazia di Platinette.

Ora sono a casa, e già mi sento meglio solo per il fatto di non trovarmi più in ospedale. Fisicamente sono ancora uno straccio, i punti tirano, ho l'impressione che se starnutisco mi si distrugga tutto, stare seduta o in piedi è davvero durissima. Ma tanto devo passare la metà della giornata a letto, su un fianco, con la gnoma che si avvinghia a me per nutrirsi e diventare abbastanza grassa da giustificare quelle guance tanto paffute. Inutile dire che anche l'allattamento è complicato e doloroso, anche se mai nella vita ho pensato, come ora, che qualcosa di doloroso potesse anche essere così bello e rilassante, nello stesso momento. Ma l'allattamento è un capitolo a parte.

Insomma non mi resta che attendere ancora qualche giorno per far sì che i disagi principali di questo periodo lascino il posto a una Simo più normale, indipendente ed efficiente. E tra qualche settimana finirà anche sto benedetto puerperio: tornerò ufficialmente una donna libera (anche se sposata e con prole)! EVVAI!!!

5 commenti:

  1. Simo devi assolutamente scrivere un libro!

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  2. grande! aspettiamo il prossimo post!

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  3. Com'è che la tua degenza in ospedale mi ricorda tanto la mia? Saranno i punti? (il ginecologo che li ha dati a me si stava esercitando per ricamare una tovaglia, ne sono sicura) Sarà che anche per me le notti sono state devastanti (e prendere in braccio "Robino" era una sfida da olimpiade)? La visita per la dimissione la ricordo con vero terrore. Ma anche i giorni seguenti, a casa. Senza poter stare in piedi. Nemmeno seduta. Nemmeno sdraiata sulla destra. Senza andare di corpo per una settimana ("Con il mio cervello che mi diceva: da quelle non ci passerà mai più nulla!"). Per fortuna è già passato un mese!

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    1. Sto leggendo il tuo blog... ci assomigliamo in effetti! Bello sapere che non sono sola...

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  4. Ormai e' passata, e tu saggiamente hai deciso che sarà stata la prima e ultima volta, ma per consolarti ti dico solo che il ginecologo che mi ha fatto la visita di dimissione mi ha guardata e ha detto "caspita che emorroidi!" Davanti all'infermiera, e li ho capito che non volevo trascorrere in ospedale nemmeno un secondo di più. Sono tornata a casa e non so se tiravo più maledizioni per i punti del l'episiotomia o per le suddette emorroidi (dovute alle spinte folli date a casaccio perché in quei momenti non capivo più nulla)

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